giovedì 27 settembre 2012

Memories...

La cugnà di Maria Rita




Potenza di Facebook che, come una marea, trascina sulla spiaggia brandelli dimenticati del nostro passato remoto, e tutto quello che avevamo perso o dimenticato torna a fare capolino nelle nostre vite. Come in una scena di Canto di Natale, una processione di ectoplasmi ci appare, direttamente dal nostro passato, prossimo o remoto: amici d’infanzia, compagni di scuola, parenti lontani e lontani parenti… 

Come in questo caso, in cui la parentela, più che geograficamente – si tratta di parenti originari del Monferrato, e più precisamente di Castagnole Lanze – è storicamente lontana; Maria Rita, che ho avuto il piacere di risentire dopo molti anni, è la discendente di una cugina della mia bisnonna. 

I rapporti tra le nostre famiglie si erano tuttavia mantenuti vivi – almeno fino agli anni Settanta - in virtù del fatto che il mio bisnonno, rimasto vedovo, sposò in seconde nozze una cugina della moglie, Maria. Nonna Maria - con questo nome la chiamavamo in famiglia, perché allevò mia madre e mia zia come figlie sue – durante la guerra si trasferì da Torino, dove abitava la famiglia, a Castagnole, in casa dei genitori, ritenuto posto più sicuro per proteggere dai bombardamenti le bambine. 

E, in quegli anni di guerra, per Jucci e Orsolina, bambine di città sfollate in campagna, si aprì un universo magico, un posto incantato di luoghi, suoni, usanze e persone differenti, da amare e ricordare. Tanto che, periodicamente, la mamma e la zia tornavano, con le loro famiglie, a trovare i parenti del posto; le anziane prozie e, soprattutto, il cugino Giovanni con la sua famiglia, la moglie Letizia e le figlie, Maria Rita, Cecilia ed Elena. 
E anche per me e mia sorella, cresciute in città e hinterland torinese, era un mondo diverso, tutto da scoprire…la casa, con i muri spessi e i pavimenti in terracotta, con le portefinestre direttamente sull’aia, la cucina con il potagè, la stalla, il noccioleto, le vigne…e poi le galline, le faraone, i porcellini d’india…Tanti ricordi di domeniche degli anni Settanta, molti rimpianti, un po’ di nostalgia. 

Ora le cose sono cambiate, e nella grande cascina non vive più nessuno – e non oso chiedere che fine abbiano fatto le vigne che, come diceva mia madre, erano le meglio esposte del paese - ma Maria Rita, in onore dei vecchi tempi e delle tradizioni di famiglia, d’autunno continua a preparare la cugnà - la tipica mostarda da mangiarsi con i formaggi e la polenta - secondo la ricetta che le hanno tramandato la nonna e la madre. Giurando tutti gli anni che è l’ultima volta, perché è una preparazione faticosa, lunga e costosa, come solo una volta si potevano permettere di fare, quando d’autunno il lavoro dei campi si fermava e si poteva cucinare per ore sullo stesso fuoco che serviva per riscaldare la casa, con i frutti locali, un alimento zuccherino e calorico, prezioso per far fronte ai rigori dell’inverno. 

Per 8 barattoli da 2,5 etti di ricordi… 

Per il mosto 

40 kg d’uva, di qualsiasi qualità (circa due ceste da 20 kili) 

Per la mostarda: 

il mosto ricavato come descritto 
6 pere cotogne 
1 manciata di gherigli di noce 

Preparare il mosto schiacciando, con le mani, gli acini dopo averli separati dai grappoli; si avrà così di che riempire una pentola di circa cm. 21 di diametro e 23 di altezza. Il mosto va poi filtrato con un colino, tutto a freddo. 

Mettere il mosto in una pentola capiente e farlo cuocere a fuoco lento sempre schiumando la superficie, in modo da togliere tutte le impurità residue quando si e' ridotto della metà (occorreranno circa 7 -8 ore) si aggiungono circa 6 pere cotogne con la buccia e tagliate a dadini, continuando a cuocere il tutto per altre 4 ore. 

Una volta raffreddato il composto si passano nel passaverdure le pere, poi si continua a cuocere aggiungendo una manciata di gherigli di noci: La mostarda è pronta quando comincia ad assumere il caratteristico colore bruno violaceo. 

Versare bollente in barattoli preventivamente sterilizzati, mettendoli, una volta chiusi, a testa in giù fino a che non si sono raffreddati, in modo da creare il vuoto d’aria all’interno; altrimenti, una volta chiusi, farli bollire, avvolti in canovacci perché non battano tra di loro, in una pentola piena d’acqua, lasciandoli poi raffreddare nella pentola. 

Cara Maria Rita, grazie per la bella ricetta, dal profumo di tempi antichi e, più ancora per esserti fatta sentire… Un abbraccio a tutte voi, vi sentirò sempre con piacere e pubblicherò, con altrettanto piacere, le ricette che vorrete mandarmi.

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