martedì 21 febbraio 2012

Le petit montagnard

Zuppa di cipolle




Quando si parla di associazione di idee.
Da quando ho scoperto come poter mangiare le cipolle senza effetti collaterali, per recuperare gli anni perduti, per la gioia di familiari e amici sto facendo uso intensivo delle medesime: frittate, pizze e zuppe, tutti li cucino, i piatti che a lungo non ho potuto mangiare. 

L’altra sera per l’appunto – essendo oltretutto in possesso di una baguette rafferma, ideale per fare dei crostini filologicamente in tema - stavo cucinando per Ornella e Claudio la zuppa di cipolle, uno dei must di questa stagione, amato da tutti i miei ospiti - quando ho pensato che, in fondo, questo è uno dei piatti che maggiormente appartiene al mio DNA. La famiglia di mio padre infatti, pur essendosi stabilita in Piemonte agli inizi del secolo, e essendosi poi unita con matrimoni alla popolazione autoctona, è di origini valdostane. 

Non che tale cucina sia mai entrata nella cucina della nonna Teresina, di origini astigiano/torinesi– era il nonno quello di origini valdostane, nato però in Piemonte, dove poi aveva trascorso tutta la vita - ma, come direbbe William Ross Wallace è la mano sulla culla quella che governa il mondo o, in questo caso, è la mano che impugna il mestolo che decide cosa e come si cucina…e la cucina della nonna era molto buona. 

Tornando all’argomento cipolle, non è che a casa sua non si mangiassero, tutt’altro: le cipolle ripiene di arrosto della nonna Teresina erano uno dei suoi piatti più riusciti e apprezzati – ancora ricordo quando a Natale ce ne preparava una grossa teglia di pirex - ma, per l’appunto si mangiavano in altra forma. Però il profumo prevalente nella cucina della nonna era quello, molto piemontese (e anche francese), di burro e aglio. La zuppa di cipolle è entrata – o rientrata, non possiedo gli elementi per dirlo, non avendo conosciuto la mia bisnonna - in casa nostra solo negli anni ’70, in seguito a una ricetta pubblicata su Topolino da me raccolta della soupe à l'oignon (la mia passione per ricette e cucina ha origini precoci e, uhm, lontane), a dimostrazione che le vie della Provvidenza sono infinite. 

La versione che propongo è del tutto personale: nelle ricette classiche non è prevista la presenza di patate, ma trovo che servano ad amalgamare meglio gli ingredienti della zuppa; il titolo del post deriva da una mia passione infantile per il brano – il classico pezzo per principianti – che chiedevo a mia sorella di suonare al pianoforte...ricordo ancora l’immagine sullo spartito, un bel pastorello avvolto nel suo mantello marrone con zufolo e cappello di feltro a punta.

Per una serata in montagna (dosi per quattro pastorelli):

4 belle cipolle tagliate a fette sottili e stufate
2 patate
1 litro di brodo
fette di pane raffermo tostate nature in forno o in una pentola antiaderente con un filo d'olio
sale e pepe qb
formaggio grattugiato

In una pentola capiente mettere a bollire le patate pelate e tagliate a grossi pezzi; una volta cotte, scolate e frullate le  patate, aggiungete il brodo e le cipolle e cuocete il tutto fino a ebollizione; impiattate ponendo nei piatti uno strato di fette di pane tostato e la zuppa fino a completo assorbimento dal pane; spolverate subito con abbondante formaggio grattugiato; il formaggio deve filare dal cucchiaio, se la zuppa è ben riuscita. Volendo, gratinare.
Per amici vegani, servire senza formaggio (ahimè).


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