martedì 29 ottobre 2013

Topinambour al latte

Minimalia n.23




Helianthus tuberosus questo è il nome botanico di una pianta che produce una radice commestibile, molto in auge nel periodo invernale, da queste parti, per essere una delle verdure tradizionalmente mangiate con la bagna cauda.
Sto infatti parlando del topinambour - ciapinabò in piemontese -  una pianta spontanea, benché di origine americana; pare che infatti l'etimo sia connesso al nome in portoghese di patata Tupinamba, dal nome di una tribù amerindia, appunto - che un tempo veniva utilizzata come siepe di delimitazione tra campi e strade, e ha, inoltre, il vantaggio di produrre un bellissimo fiore giallo, 
Diffuso non solo in Italia, dove è infatti conosciuto con vari nomi, ma anche all'estero;  tra cui il più bizzarro è forse quello inglese di carciofo di Gerusalemme (Jerusalem artichoke) che, ovviamente, non ha niente a che vedere con la città ma forse da una storpiatura del nome italiano di girasole (dovuto al fiore) e dal gusto di questo tubero, un po' simile a quello del carciofo.
A di là dei benefici per la salute, che essendo ricco di inulina, ne raccomandano l'uso ai diabetici, e a un piccolo svantaggio - come direbbe l'Artusi, che tuttavia non li cita, trattasi di tubero "ventoso" - è di sapore molto gradevole; soprattutto se cotto con questa ricetta della mia madrina - zia Gina - gentilmente insegnatami dalla figlia Adelina, che tende a neutralizzarne gli effetti negativi. Occorre far rosolare uno spicchio d'aglio in un cucchiaio d'olio e poi aggiungere i topinambour pelati e tagliati in fette sottili; si coprono con il latte e si termina la cottura a fuoco lento, coperti, fino a che non hanno assorbito tutto il liquido. Il successo è assicurato. Il segreto? Non esagerare...

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