Come foglie nel vento; a volte, per seguire gli alterni umori propri o degli amici ci si ritrova a fare attività che non si erano programmate, come questo viaggio - concertato all'ultimo - ad Aosta, con l'amica Laura, in occasione della Fiera di Sant'Orso, il 31 gennaio scorso.
Non che non ne avessimo mai sentito parlare, della fiera di S. Orso, ma in altri anni non c'era stato quel convergere di situazioni - tempo, voglia, umore, interesse, occasione... - che ci sospingessero fin lì. Fino a quest'anno.
Non che non ne avessimo mai sentito parlare, della fiera di S. Orso, ma in altri anni non c'era stato quel convergere di situazioni - tempo, voglia, umore, interesse, occasione... - che ci sospingessero fin lì. Fino a quest'anno.
Un'avventura a partire dal viaggio su un treno preso per miracolo perché strapieno già alla partenza da Torino Porta Nuova, sedute sui basamenti dei sedili in compagnia di una ragazza tunisina con la quale scambiare informazioni turistiche sugli usi delle transumanze alpine e nel deserto - uguali, pare che anche lì la popolazione ci vada per quattro mesi all'anno, come i nostri montanari all'alpeggio, per analoghi motivi - e con gustosi aneddoti sull'impossibilità di perdersi ne deserto per via del traffico e della tendenza al pettegolezzo della gente del posto... Come a dire che tutto il mondo non è, che in fondo, un grande paese.
Scese dal treno alle 10 circa siamo accolte da una bella giornata di sole e temperatura clemente. In pochi minuti, passando sotto l'occhio vigile della statua di Cesare Augusto, arriviamo dalla stazione al centro, dove già sono pronte bancarelle e un grande stand coperto.
Nonostante l'ora, la gente comincia ad accalcarsi; dal centro di smistamento della piazza la folla viene incanalata in un percorso guidato, che in alcune vie impone il senso unico di marcia.
Al rullare dei loro tamburi ci avviamo sotto i portici, dove possiamo vedere i primi oggetti in esposizione, mobili e oggetti di grandi dimensioni, più difficili da mettere al riparo in caso di maltempo...
sedie, poggiapiedi e cassapanche...
e una tavola rotonda, dal desco girevole, chiaramente ispirata ai romanzi cavallereschi, assai ammirata in special modo dai turisti stranieri, che in gran numero visitavano la fiera.
Vicino agli oggetti in vendita, i cibi che i venditori si sono portati da casa: fontina, salami e pani di montagna, per pranzare e offrire agli amici, come da tradizione di ospitalità della vallata;
...qualcuno, anzi, sta già organizzando per la polentata
...girata rigorosamente con gli appositi bastoni in vendita!
Intanto fiumane di gente stanno velocemente invadendo la città, regolamentate dai militari del genio forestale; pubblico internazionale, moltissimi i francesi e gli svizzeri.
Tutti venuti per visitare la città
...ma, soprattutto per comprare - o anche solo per ammirare - le creazioni di legno degli artigiani provenienti da tutte le vallate della regione e zone limitrofe.
Il must have della fiera? I fiori di legno, con la base di pigne di pino, che molti volenterosi si sono trascinati fino a Torino negli affollatissimi treni del ritorno
...mentre, tra i più fotografati spiccano i plastici - in legno e pietra - delle abitazioni alpine.
Passando da statue di valligiani che paiono antichi monoliti
...a sculture di ispirazione più moderna,proposte però su tovaglia a fantasia rigorosamente celtica.
..i campanacci per mucca con collare decorato, per mucche trés chic...
...paioli in rame stagnato per la polenta, distillatori per grappa e galletti segnavento
...taglieri per salami e formaggi e bastoni da passeggio... in alpeggio
...lampadari e portamantelli in legno per amanti dell'arredo rustico
...scale per raccogliere la frutta o salire nei sottotetti,
...e gli zoccoli di legno tipici, i sabot, alcuni dei quali - forse semilavorati? - con un aspetto alquanto inquietante.
Ma, passeggiando e guardando le bancarelle, si è già fatto mezzogiorno; ora di trovare un posto dove mangiare, dal momento che, davanti agli stand gastronomici, già si formano le code, indotte dall'appetito stimolato dall'aria di montagna.
Cibo locale o fusion, come propone il negozio di kebab - che per i non musulmani proponeva un abbinamento con la birra indiana Kamasutra (visibile sui foglietti in blu sul cartello giallo, se ingrandite l'immagine)?
Ma ecco, da un cartello posto all'ingresso di un cortile, l'indicazione per la mensa allestita dalla bocciofila di S. Orso; atmosfera da fiera paesana sotto un grande tendone, dove, per la modica cifra di 10 euro, vengono proposti 2 tipi di menù rustici:
vere patate di montagna con cotechino, il tutto autoctono (molto buono)...
o polenta rustica con la Carbonada, il tipico spezzatino stufato valdostano.
Incluso nel prezzo un bicchiere di vino rosso della Valle d'Aosta - o mezzo litro d'acqua - e il dolce, una torta di mele non entusiasmante ma comunque buona rispetto alla norma.
Essendo arrivate per ultime siamo riuscite ad usufruire di una buona dose di entrambe i primi, e anche, nel cambio di menù di un gentile omaggio di salumi tipici; mocetta, prosciutto, salame crudo e Boudin, il salame tipico di patate, lardo, barbabietole e sangue di maiale tipico della Val d'Aosta e zone limitrofe (soprattutto il Canavese, dove ne esiste una versione locale che si chiama Salampatata)
La carbonada o carbonade è il tipico spezzatino stracotto al vino che in Val d'Aosta era il piatto delle festività. Azzarderei l'affermazione che questo piatto debba probabilmente le sue origini all'abitudine di far macerare la carne per ammorbidirla nel vino, dal momento che, nella versione originale, veniva cucinato con carne salata - il modo migliore di conservarla in epoche in cui non esistevano i frigoriferi e raramente venivano macellati gli animali, più utili per la produzione di formaggi - analogamente con quanto si faceva per ammorbidire la carne più fibrosa e povera di grasso della cacciagione (vedi ricetta della polenta con spezzatino in umido di cinghiale).
Carbonada è invece un termine credo tratto dal Patuà (Patois), ossia il dialetto locale, più affine al francese che all'italiano, che fa derivare il nome dal francese carbonade (stufato).
Le origini - e il primato - di questa ricetta sono tuttavia controverse, dal momento che ne esiste una analoga versione fiamminga - la carbonade flamande - in cui al posto del vino viene utilizzata la birra; è probabile che la ricetta abbia la stessa origine, anche stante i rapporti commerciali che vedevano, attraverso il passo del Gran San Bernardo, transitare popolazioni, merci e culture, anche alimentari.
Per alcuni merchant gourmand
(dose per sei mercanti infreddoliti e affamati)
600 - 800 gr di polpa di bue
50 gr di burro
1 spicchio d'aglio
1-2 cipolle
1-2 carote
2 chiodi di garofano
2 bacche di ginepro
2-3 foglie di salvia tritate
1 rametto di rosmarino tritato
2 foglie di alloro intere
1 litro di vino rosso
farina qb
sale qb
Scese dal treno alle 10 circa siamo accolte da una bella giornata di sole e temperatura clemente. In pochi minuti, passando sotto l'occhio vigile della statua di Cesare Augusto, arriviamo dalla stazione al centro, dove già sono pronte bancarelle e un grande stand coperto.
Nonostante l'ora, la gente comincia ad accalcarsi; dal centro di smistamento della piazza la folla viene incanalata in un percorso guidato, che in alcune vie impone il senso unico di marcia.
In Rue Xavier de Maistre già la folla si addensa, per ammirare i figuranti in costume del gruppo storico La famille de Challant della Val d'Ajax che vengono intervistati per le edizioni dei TG regionali
sedie, poggiapiedi e cassapanche...
e una tavola rotonda, dal desco girevole, chiaramente ispirata ai romanzi cavallereschi, assai ammirata in special modo dai turisti stranieri, che in gran numero visitavano la fiera.
Vicino agli oggetti in vendita, i cibi che i venditori si sono portati da casa: fontina, salami e pani di montagna, per pranzare e offrire agli amici, come da tradizione di ospitalità della vallata;
...qualcuno, anzi, sta già organizzando per la polentata
...girata rigorosamente con gli appositi bastoni in vendita!
Intanto fiumane di gente stanno velocemente invadendo la città, regolamentate dai militari del genio forestale; pubblico internazionale, moltissimi i francesi e gli svizzeri.
...ma, soprattutto per comprare - o anche solo per ammirare - le creazioni di legno degli artigiani provenienti da tutte le vallate della regione e zone limitrofe.
Il must have della fiera? I fiori di legno, con la base di pigne di pino, che molti volenterosi si sono trascinati fino a Torino negli affollatissimi treni del ritorno
...mentre, tra i più fotografati spiccano i plastici - in legno e pietra - delle abitazioni alpine.
Passando da statue di valligiani che paiono antichi monoliti
...a sculture di ispirazione più moderna,proposte però su tovaglia a fantasia rigorosamente celtica.
Tra gli articoli pret a porter calze e cappelli di lana realizzati da volenterose tricoteuse, che come garanzia e pedigree espongono sulla bancarella una testa che pare veramente decapitata,
...pendagli decorativi a cuore di stoffa imbottita
...e piccole sculture in legno di ispirazione nordica.
Ispirati - o forse ancora utilizzati, nella vita reale - alcuni oggetti tipici della cultura valligiana:
..i campanacci per mucca con collare decorato, per mucche trés chic...
...le coppe dell'amicizia, per condividere con gli amici il tipico caffè caldo con il burro e la grappa
...le tipiche grolle per condividere il vino speziato - dal francese antico Graal, che pare derivi dal latino gradalis, il calice simbolo della comunione - tra gli uomini e con la divinità - protagonista dei cicli poetici dei trovatori bretoni
...paioli in rame stagnato per la polenta, distillatori per grappa e galletti segnavento
...taglieri per salami e formaggi e bastoni da passeggio... in alpeggio
...scale per raccogliere la frutta o salire nei sottotetti,
...e gli zoccoli di legno tipici, i sabot, alcuni dei quali - forse semilavorati? - con un aspetto alquanto inquietante.
Ma, passeggiando e guardando le bancarelle, si è già fatto mezzogiorno; ora di trovare un posto dove mangiare, dal momento che, davanti agli stand gastronomici, già si formano le code, indotte dall'appetito stimolato dall'aria di montagna.
Cibo locale o fusion, come propone il negozio di kebab - che per i non musulmani proponeva un abbinamento con la birra indiana Kamasutra (visibile sui foglietti in blu sul cartello giallo, se ingrandite l'immagine)?
Ma ecco, da un cartello posto all'ingresso di un cortile, l'indicazione per la mensa allestita dalla bocciofila di S. Orso; atmosfera da fiera paesana sotto un grande tendone, dove, per la modica cifra di 10 euro, vengono proposti 2 tipi di menù rustici:
vere patate di montagna con cotechino, il tutto autoctono (molto buono)...
o polenta rustica con la Carbonada, il tipico spezzatino stufato valdostano.
Incluso nel prezzo un bicchiere di vino rosso della Valle d'Aosta - o mezzo litro d'acqua - e il dolce, una torta di mele non entusiasmante ma comunque buona rispetto alla norma.
Essendo arrivate per ultime siamo riuscite ad usufruire di una buona dose di entrambe i primi, e anche, nel cambio di menù di un gentile omaggio di salumi tipici; mocetta, prosciutto, salame crudo e Boudin, il salame tipico di patate, lardo, barbabietole e sangue di maiale tipico della Val d'Aosta e zone limitrofe (soprattutto il Canavese, dove ne esiste una versione locale che si chiama Salampatata)
La carbonada o carbonade è il tipico spezzatino stracotto al vino che in Val d'Aosta era il piatto delle festività. Azzarderei l'affermazione che questo piatto debba probabilmente le sue origini all'abitudine di far macerare la carne per ammorbidirla nel vino, dal momento che, nella versione originale, veniva cucinato con carne salata - il modo migliore di conservarla in epoche in cui non esistevano i frigoriferi e raramente venivano macellati gli animali, più utili per la produzione di formaggi - analogamente con quanto si faceva per ammorbidire la carne più fibrosa e povera di grasso della cacciagione (vedi ricetta della polenta con spezzatino in umido di cinghiale).
Carbonada è invece un termine credo tratto dal Patuà (Patois), ossia il dialetto locale, più affine al francese che all'italiano, che fa derivare il nome dal francese carbonade (stufato).
Le origini - e il primato - di questa ricetta sono tuttavia controverse, dal momento che ne esiste una analoga versione fiamminga - la carbonade flamande - in cui al posto del vino viene utilizzata la birra; è probabile che la ricetta abbia la stessa origine, anche stante i rapporti commerciali che vedevano, attraverso il passo del Gran San Bernardo, transitare popolazioni, merci e culture, anche alimentari.
Per alcuni merchant gourmand
(dose per sei mercanti infreddoliti e affamati)
600 - 800 gr di polpa di bue
50 gr di burro
1 spicchio d'aglio
1-2 cipolle
1-2 carote
2 chiodi di garofano
2 bacche di ginepro
2-3 foglie di salvia tritate
1 rametto di rosmarino tritato
2 foglie di alloro intere
1 litro di vino rosso
farina qb
sale qb
Tagliare la carne di bue in pezzi non troppo grandi e metterla in una ciotola a marinare per un giorno (o una notte) in frigorifero coperta di vino con le spezie, le erbe tritate, l'alloro, l’aglio, la carota e la cipolla tagliate a pezzi ed il sale.
Trascorso il tempo di marinatura scolare la carne, infarinarla, e soffriggerla nel burro in una pentola capiente. Tritare l'aglio, la carota e la cipolla e aggiungere il tutto nella stessa pentola della carne insieme al vino utilizzato per la marinatura. Fare cuocere coperto e a fuoco lento fino a che la carne non diventa morbida, aggiungendo, se necessario, del vino.
Talune versioni suggeriscono di rosolare le verdure prima di aggiungere il vino; personalmente lo sconsiglio, perché questo procedimento contribuisce a rendere ulteriormente poco digeribile un piatto che, per la presenza di vino cotto è, comunque, più adatto a stomaci robusti.
Molte fonti indicano come verdura presente solo la cipolla; a tale proposito ricordo che si tratta di piatto tipico a carattere familiare, di cui esistono quindi infinite varianti; avendolo mangiato, in loco, con carota e sedano, mi è parso gusto inserirle.
A coloro che, invece, volessero seguire la ricetta istituzionale, consiglio questo link del sito della Regione Valle d'Aosta.
Talune versioni suggeriscono di rosolare le verdure prima di aggiungere il vino; personalmente lo sconsiglio, perché questo procedimento contribuisce a rendere ulteriormente poco digeribile un piatto che, per la presenza di vino cotto è, comunque, più adatto a stomaci robusti.
Molte fonti indicano come verdura presente solo la cipolla; a tale proposito ricordo che si tratta di piatto tipico a carattere familiare, di cui esistono quindi infinite varianti; avendolo mangiato, in loco, con carota e sedano, mi è parso gusto inserirle.
A coloro che, invece, volessero seguire la ricetta istituzionale, consiglio questo link del sito della Regione Valle d'Aosta.
2 commenti:
con il tuo bellissimo servizio fotografico ho partecipato anche io al tuo viaggio: grazie!
Ti lascio una buona giornata
Ciao, sono contenta che ti sia piaciuto il mio piccolo reportage; non perderti la seconda parte - in corso di post produzione, prossimamente su questo blog - con la ricetta della focaccia di S. Orso...
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